Onorevoli Colleghi! - La legge 22 maggio 1978, n. 194, approvata dal Parlamento nella fase politica della solidarietà nazionale e sulle spinte di un esasperato femminismo che volge ormai al tramonto, a oltre venticinque anni dalla sua introduzione nell'ordinamento giuridico conferma tutti i suoi limiti e la sua inadeguatezza.
      Il Gruppo dei cristiani democratici uniti aveva già presentato nel corso della XIII legislatura una proposta di legge per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta per verificare il funzionamento e l'attuazione della citata legge n. 194 del 1978. Progetti di legge di analogo contenuto il Gruppo li aveva presentato anche al Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati all'inizio della XIV legislatura. Si riporta, pertanto, un ampio stralcio della relazione illustrativa dell'atto Camera n. 384 della XIV legislatura, indicativo dei dati rilevati alla fine degli anni novanta e che, purtroppo, sono stati confermati, nella media delle percentuali, negli anni più recenti. Dati che confermano l'esigenza, già avvertita nella passata legislatura, di procedere alla modifica della legge n. 194 del 1978, con le medesime modalità stabilite dal citato atto Camera n. 384.
      «Secondo i drammatici dati rilevati nelle ultime relazioni trasmesse dal Governo al Parlamento sull'attuazione della citata legge n. 194 del 1978 (doc. XXXVII, n. 10, della XIII legislatura), nel 1999 si sono registrati 139.386 casi di interruzione volontaria di gravidanza con un incremento dello 0,7 per cento rispetto al 1998. Il tasso di abortività è risultato pari al 9,9 per 1.000 donne di età fra i quindici e i quarantanove anni; tale tasso, pur diminuito rispetto agli anni scorsi, rappresenta ancora un valore elevato.

 

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      La citata relazione sottolinea come risulti basso il ricorso al consultorio familiare per la certificazione, riconoscendo le difficoltà a farvi ricorso e l'inadeguatezza dell'integrazione con il servizio dei consultori familiari, l'incompletezza delle strutture consultoriali ed il numero limitato di figure professionali, soprattutto in vaste aree del Paese.
      La relazione riconosce, altresì, che i consultori familiari andrebbero opportunamente potenziati e riqualificati, non raggiungendo il limite indicato nel decreto-legge 1o dicembre 1995, n. 509, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1996, n. 34, di un consultorio per ogni 200 mila abitanti».
      Con la presente proposta di legge, pur manifestando profonda contrarietà rispetto alle finalità della citata legge n. 194 del 1978, si intendono modificare e correggere quelle parti che esaltano la cultura della morte anziché la cultura della vita.
      Si intende richiamare la questione relativa al momento delicato in cui la donna ha già dichiarato di volere interrompere la gravidanza, ma, a seguito di ulteriori riflessioni, con un atto di rinuncia alla interruzione volontaria della gravidanza, decide la continuazione della gestazione; è in tale fase che si ritiene opportuno agevolare questa scelta attraverso un adeguato intervento finanziario di sostegno a carico dello Stato, non solo nei confronti della donna, ma anche attraverso gli istituti che sono in grado di sostenerla, e una maggiore responsabilizzazione del genitore rispetto ad una scelta che resta dolorosa.
      Si intende riaffermare una cultura della vita. Lo Stato si deve fare carico di aiutare le donne che si trovano in queste situazioni contribuendo a salvare vite umane che rappresentano una risorsa per il Paese.
      I costi relativi alle interruzioni volontarie della gravidanza sono quanto mai ingenti rispetto a quelli ipotizzabili se si scegliesse di ricorrere ai benefici previsti dalla presente proposta di legge rinunciando all'aborto. Sono cifre che acquistano un significato morale che va oltre l'impegno finanziario dello Stato e che potrebbero essere recuperate nelle «pieghe» del bilancio pubblico se riuscissero nello scopo di salvare anche un solo bambino.
      Agli interventi finanziari dello Stato possono essere uniti quelli provenienti dalle regioni o da altri enti indicati dalle regioni stesse.
      L'articolo 1 della proposta di legge introduce l'articolo 4-bis della legge n. 194 del 1978 che prevede la concessione di un contributo di 516 euro mensili per un anno alle donne che non abortiscono. A tale contributo possono aggiungersi eventuali benefici finanziari deliberati dalle regioni.
      Con l'articolo 2 si prevede che i bambini che nascono a seguito di rinuncia all'interruzione volontaria della gravidanza possono essere adottati o dati in affidamento con il consenso dei genitori, con procedura di urgenza, venendo incontro ai desideri di coppie che - attraverso organizzazioni compiacenti - sono costrette ad andare all'estero per soddisfare i loro desideri di genitorialità e il bisogno di adottare i minori.
      Con l'articolo 3 della proposta di legge viene modificato il quarto comma dell'articolo 5 della legge n. 194 del 1978 ampliando la responsabilità della scelta anche alla persona indicata come padre del nascituro.
      L'articolo 4, modificando profondamente l'articolo 5 della legge n. 194 del 1978, prevede che la donna che, nei sette giorni antecedenti l'interruzione volontaria della gravidanza rinuncia all'aborto, beneficia dei contributi previsti dall'articolo 1.
      L'articolo 5, modificando l'articolo 12 della legge n. 194 del 1978, obbliga il giudice tutelare, che può autorizzare la donna di età inferiore a diciotto anni all'interruzione volontaria della gravidanza, a sentire la persona indicata come padre del nascituro.
      L'articolo 6 reca la copertura finanziaria.
 

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